martedì 23 maggio 2017

EPICA

ENEIDE

LINK

"Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato." (Eneide, Libro VI, vv. 298-301)
Caronte, orrendo nocchiero nella sua terribile asprezza, che porta sul mento una folta e incolta barba bianca, stanno fissi gli occhi fiammeggianti e un sordido mantello gli pende dalle spalle legato con un nodo. Egli stesso spinge la barca con un palo, la governa colle vele e traghetta sulla navicella di cupo colore, ormai vecchio, ma per il dio quella vecchiaia è ancor fresca e verde. Qui, sparsa sulle rive, si precipitava tutta la turba, madri e uomini e corpi privati della vita di magnanimi eroi, fanciulli e nubili fanciulle e giovani posti sui roghi sotto gli occhi dei genitori: come numerose nelle selve cadono le foglie staccandosi al primo freddo dell'autunno, o come numerosi gli uccelli si rifugiano sulla terra venendo dall'alto mare quando la fredda stagione li mette in fuga dai luoghi posti oltre il mare e li sospinge verso terre assolate. Le anime stavano ferme e pregavano di compiere per prime il tragitto e tendevano le mani per il desiderio della riva opposta. Ma l'iracondo aspro nocchiero accoglie ora queste ora quelle e scaccia gli altri, sospinti lontano dalla riva.

"L'enorme Cerbero col suo latrato da tre fauci rintrona questi regni giacendo immane davanti all'antro. La veggente, vedendo ormai i suoi tre colli diventare irti di serpenti gli getta una focaccia soporosa con miele ed erbe affatturate. Quello, spalancando con fame rabbiosa le tre gole l'afferra e sdraiato per terra illanguidisce l'immane dorso e smisurato si stende in tutto l'antro. Enea sorpassa l'entrata essendo il custode sommerso nel sonno profondo". Cerbero si oppone alla discesa agli Inferi di Enea ed è ammansito dalla Sibilla che gli getta un'offa (focaccia) di miele intrisa di erbe soporifere. Cerbero, che in Virgilio ha dei serpenti attorcigliati al collo, la afferra con fame rabbiosa ed è forse il motivo per cui nella tradizione medievale era talvolta interpretato come immagine del peccato di gola.


« Queste dimore infernali non sono state assegnate
senza giudizio e giudice: Minosse inquisitore
scuote l'urna dei fati, convoca l'assemblea
dei morti silenziosi, li interroga, ne apprende
i delitti e la vita »
(Virgilio, Eneide, VI,431-433, trad. C. Vivaldi)
Nel libro VI dell'EneideVirgilio, che la rappresenta "vegliarda"[1] la chiama «Deifobe di Glauco»[2] e «Amphrysia»[3], appellativo originato dal fiume tessalo Amfriso, presso il quale Apollo custodì il gregge di Admeto. Nel poema la Sibilla Cumana ha la doppia funzione di veggente e di guida di Enea nell'oltretomba e la presentazione dell'oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.
Giacomo Di Chirico:Sibilla Cumana
Alla sua figura è anche legata una leggenda: la Sibilla era una giovane fanciulla di superba bellezza di origine greca che possedeva grandi capacità divinatorie. Un giorno il Dio Apollo colpito dalla sua avvenenza, si innamorò a prima vista della bella fanciulla e per conquistarla le promise che avrebbe esaudito ogni suo desiderio. 
Sibilla (autentico nome di persona) prese un pugno di sabbia dalla spiaggia e chiese ad Apollo di lasciarla vivere tanti anni quanti i granelli che aveva raccolto nella sua mano. Il Dio l’accontentò ma la fanciulla commise un grave errore: si dimenticò di aggiungere di voler vivere gli anni in eterna gioventù. La sua dimora fu Cuma, scelta come luogo meditativo per poter officiare l’arte divinatoria, dove fu amata perdutamente dal Dio Apollo.
Il tempo trascorreva e anche l’amore tra Apollo e Sibilla si consumava. Lei invecchiava sempre di più in anno in anno, afflitta dalle malattie e dagli acciacchi, fin quando il suo corpo ormai decadente si tramutò in una piccola larvaApollo per preservarla dall’incuria del tempo, la collocò in una gabbietta all’interno dell’antro, finché di lei non rimase che la voce, l’unica testimonianza fisica della sua presenza che profetizzò ancora a lungo, gli eventi futuri
La leggenda vuole che solo un pugno di terra natia avrebbe spezzato l’incantesimo (prigioniera del suo stesso male, l’eternità) che le avrebbe permesso di morire in pace.

venerdì 7 aprile 2017

Sai cos’è una Little Free Library? È una biblioteca in miniatura dove prendere e portare libri in libero scambio. Ne hai vista qualcuna nella tua zona? Dove ti piacerebbe trovarla? Prova a pensarne una in un luogo da te amato, un luogo segreto. Appena l’hai immaginato disegna il luogo segreto che ami di più, vero o di fantasia, con dentro tanti libri da condividere con i tuoi amici.
Invia – entro il 10 giugno – una immagine (formato Jpeg a 300DPI) del tuo disegno, che potrà essere realizzato con tecniche tradizionali o digitali. Accompagna l’immagine con i tuoi dati (Nome, Cognome, Scuola, Classe, Sezione, Nome dell’Insegnante, Località e Provincia, nonché Recapito di posta elettronica e telefonico). L’invio dovrà avvenire attraverso la posta elettronica all’indirizzo: ilmaggiodeilibri@cepell.it
I dodici disegni finalisti saranno pubblicati sul calendario 2018 del Centro per il libro e la lettura, che per il primo premio regalerà una Little Free Library. Inoltre, primi tre classificati riceveranno un kit di libri ciascuno.

martedì 14 febbraio 2017

lunedì 2 gennaio 2017

EPICA

PROEMIO ILIADE (da imparare a memoria)

« Cantami, o Diva, del Pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' Prodi Atride e il divo Achille" »
 (Proemio dell'Iliade nella traduzione di Vincenzo Monti)